Generi fotografici

Il termine “genere” indica una categoria che raggruppa insiemi (animali, persone, prodotti, azioni..) in quanto hanno caratteristiche comuni tra loro.
Tratterò brevemente tutti i generi elencati seguito per poter dare una infarinatura generale a chi si avvicina alla fotografia:

  • Reportage o fotografia documentarista o giornalistica
  • Ritratto
  • Street Photography
  • Straight Photography
  • Fotografia di moda
  • Fotografia glamour
  • Fotografia naturalistica
  • Fotografia paesaggistica
  • Macrofotografia
  • Fotografia sportiva
  • Fotografia Still Life
  • Fotografia astronomica
  • Fotografia subacquea
  • Fotografia 3D (entrata da poco tra i generi fotografici)

Reportage o fotografia documentarista o giornalistica
Il reportage è uno dei generi della scrittura giornalistica (assieme all’editoriale, al corsivo, ecc.). Il termine proviene dal giornalismo francese; nel paese transalpino il reportage è un tipo di articolo in cui viene privilegiata la testimonianza diretta. Spesso è corredato da immagini fotografiche a documentazione.
Il reportage è anche un genere fotografico con regole ben precise: è una documentazione fedele di fatti ben identificabili. la fotografia di reportage ha come scopo quello di raccontare una storia attraverso una galleria di immagini, viene usata spesso in ambito giornalistico, per documentare la vita delle persone in situazioni difficili, come ad esempio una guerra, un disastro naturale o altri eventi.

Ritratto
Il ritratto fotografico è un genere dove si incontrano una serie di iniziative artistiche che ruotano intorno all’idea di mostrare le qualità fisiche e morali delle persone che compaiono nelle fotografie. La sua pratica si trova già agli inizi della fotografia, che mette in evidenza il lavoro svolto dai fotografi di viaggio, dei fotografi commerciali degli studi parigini, le prime foto ritratto psicologico presentate dalla fotografia accademica, così come il lavoro documentario di David Octavius Hill.
I rappresentanti principali del ritratto fotografico al suo inizio sono Nadar, Disdéri, Julia Margaret Cameron, Lewis Carroll, Gustave Le Gray, Étienne Carjat, Antoine Samuel Adam-Salomon, Pierre Petit e Lady Clementina Hawarden. In seguito il genere si è evoluto in parallelo con l’evoluzione della storia della fotografia, che è il motivo per cui, insieme a fotografi che si dedicano esclusivamente a quello che abbiamo potuto capire come il ritratto fotografico più ortodosso, troviamo fotografi assegnati a movimenti specifici che si avvicinano al ritratto fotografico con l’uso di idee e tecniche specifiche di queste correnti.
Figure di interesse nel campo del ritratto fotografico sono, tra gli altri, Richard Avedon, Brassaï, Walker Evans, August Sander.

Street photography
La street photography (“fotografia di strada“) è un genere fotografico che vuole riprendere i soggetti in situazioni reali e spontanee in luoghi pubblici al fine di evidenziare aspetti della società nella vita di tutti i giorni. Tuttavia, la street photography non necessita la presenza di una strada o dell’ambiente urbano. Il termine “strada” si riferisce infatti ad un luogo generico ove sia visibile l’attività umana, un luogo da osservare per catturarne le interazioni sociali. Di conseguenza il soggetto può anche essere del tutto privo di persone o addirittura un ambiente dove un oggetto assume delle caratteristiche umane. Molti fotografi di strada proprio per questo tipo di reportage sociale rientrano in quella che è stata definita: scuola umanista. L’inquadratura e il tempismo sono degli aspetti chiave di quest’arte; lo scopo principale infatti consiste nel realizzare immagini colte in un momento decisivo o ricco di pathos. In alternativa, uno street photographer può ricercare un ritratto più banale di una scena come forma di documentario sociale.
Molto di quanto oggi rientra sotto il nome street photography venne definito nell’epoca che copre la fine del XIX secolo fino alla fine degli anni settanta, un periodo che vide la progressiva affermazione delle macchine fotografiche portatili. Durante il corso della propria evoluzione, la street photography ha fornito una testimonianza assai ampia e dettagliata della cultura di strada. L’avvento della fotografia digitale, unita alla crescita esponenziale della condivisione di foto tramite Internet, ha gradualmente ampliato la consapevolezza del genere e di coloro che praticano la street photography. La street photography fa largo uso dei principi e delle tecniche della straight photography ma, a differenza di quest’ultima, si prefigge l’obiettivo di essere uno specchio della società con una spiccata enfatizzazione della componente ironico-artistica. Per giungere a questi scopi, le fotografie appartenenti a questo genere vengono generalmente scattate con obiettivi “normali” e senza l’ausilio del colore, proprio per dare massima evidenza e naturalità all’attimo umano catturato. La componente artistica è generalmente espressa mediante il distacco o l’ironia degli elementi appartenenti allo scatto. Tipici soggetti della street photography sono attimi di vita quotidiana che generalmente passano inosservati ma che in questo caso vengono enfatizzati o valorizzati.

Straight photography
La straight photography (“fotografia diretta“) è una tendenza del linguaggio fotografico che nasce nella prima metà del Novecento in opposizione alla corrente del pittorialismo e in generale a ogni forma di manipolazione dell’immagine estranea alle specificità linguistiche del mezzo, o a quelle che venivano riconosciute come tali. La locuzione compare per la prima volta nel 1904, sulla rivista fondata da Alfred Stieglitz, Camera Work, in un articolo del critico d’arte Sadakichi Hartmann. Ebbe il suo centro nevralgico negli Stati Uniti, in relazione alla diffusione della fotografia documentaria, alla nascita della figura del fotoreporter e alla crescente attenzione di matrice giornalistica nei confronti delle grandi questioni sociali. In questo senso si inserisce il messaggio della straight photography: qualunque cosa in grado di alterare la fotografia rende automaticamente meno puro lo scatto e, quindi, meno vero. Tecnicamente, questo significa un netto distacco dall’utilizzo di filtri o obiettivi pre-esposti e di particolari procedimenti di sviluppo e stampa.

Fotografia di moda
La fotografia di moda è un genere fotografico il cui scopo è quello di ritrarre e valorizzare capi di abbigliamento, accessori ed altri oggetti legati alla moda. La fotografia di moda è principalmente sfruttata per campagne pubblicitarie o servizi in riviste di moda come VogueHarper’s BazaarElleVanity FairMarie Claire o Allure. Nel corso del tempo, la fotografia di moda ha sviluppato una propria estetica, in cui gli abiti e la moda sono valorizzati da altri elementi presenti nella fotografia.
La fotografia nacque intorno al 1830, ma le prime tecniche di sviluppo, come la dagherrotipia, non permettevano la possibilità di stampare grandi quantità di foto. Nel 1856, Adolphe Braun pubblicò un book fotografico contenente 288 fotografie di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, una nobildonna toscana alla corte di Napoleone III per conto del Regno di Sardegna. Le foto ritraevano la contessa nei suoi abiti di corte ufficiali, e resero la nobildonna la prima modella di fotografie di moda. Nella prima decade del XX secolo, l’avanzamento tecnologico permise la stampa di fotografie nelle riviste. Fotografie di moda apparvero per la prima volta nella rivista francese La mode practique. Nel 1909, Condé Nast rilevò la rivista Vogue e contribuì all’evolversi della fotografia di moda. Una particolare enfasi fu posta nel creare gli ambienti per le fotografie, un processo iniziato dal barone Adolf de Meyer, che fotografava i propri modelli nei loro ambienti naturali. Vogue fu immediatamente seguita dalla rivista Harper’s Bazaar, e le due riviste rimasero indiscussi leader nel settore per tutti gli anni venti e trenta. Alcuni fotografi, specializzatisi nel genere, Edward Steichen, George Hoyningen-Huene, Horst P. Horst e Cecil Beaton transformarono la fotografia di moda in una forma d’arte, che si andò raffinando principalmente in Europa, ed in particolar modo in Germania.
Con l’inizio della seconda guerra mondiale, l’attenzione si spostò negli Stati Uniti, dove si fecero largo i nomi di alcuni fotografi come Irving Penn, Martin Munkácsi, Richard Avedon e Louise Dahl-Wolfe che diedero un’ulteriore svolta al modo di approcciarsi alla fotografia di moda, abbandonando gli schemi e le pose rigide, dando maggiore libertà ai soggetti dei loro lavori, che venivano ritratti in pose più naturali e “sportive”. Sotto la direzione di Alexey Brodovitch, lo stile fotografico di Harper’s Bazaar divenne lo standard per tutte le riviste a venire. Nella Londra dell’immediato dopoguerra, John French fu il pioniere di un nuovo stile di fotografia di moda ideale per le riproduzioni sui quotidiani, che coinvolgeva l’utilizzo di luci naturali riflesse e contrasti lievi.
Fra i più celebri fotografi di moda si possono citare Richard Avedon, Helmut Newton, Bruce Weber ed Herb Ritts, ed in anni più recenti Patrick Demarchelier, Steven Meisel, Mario Testino, Peter Lindbergh, Jean-François Lepage ed Annie Leibovitz.

Fotografia glamour
La fotografia glamour è un genere di fotografia in cui viene posta particolare enfasi sul fascino e sull’erotismo del modello, dando minore importanza ad ogni altro elemento presente nella fotografia. Il termine glamour infatti può essere tradotto in italiano proprio come fascino o seduzione. Per ottenere tale scopo i fotografi combinano strumentalmente l’uso di cosmetici, luce ed acconciature.
La fotografia glamour è generalmente composta dal modello, principalmente professionista, in posizione statica e tali fotografie sono normalmente utilizzate per usi commerciali, come calendari, pubblicità o servizi per riviste. Il modello soggetto della foto non deve essere necessariamente nudo, in quanto la fotografia glamour tende a concentrare la propria attenzione più sugli elementi simbolici della foto o sull’enfasi del modello. Dalla fine del ventesimo secolo infatti, diverse riviste glamour come FHM (For Him Magazine) o Maxim stanno invertendo la tendenza, mostrando meno nudità a favore di un nudo implicito, come quello rappresentato dalla tecnica handbra, in cui la modella, seminuda, copre i propri seni con le mani.
La fotografia glamour cominciò a svilupparsi intorno agli anni venti, quando si cominciarono a diffondere le prime immagini delle cosiddette pin up. Tuttavia la pubblicità e le riviste facevano ancora scarsissimo utilizzo di fotografie glamour, laddove era addirittura vietato in quanto spesso equiparate alla pornografia. A dare una svolta alla situazione ci pensò la rivista Playboy, che nel suo primo numero del dicembre 1953 pubblicò alcune fotografie di Marilyn Monroe nuda. Si trattava della prima rivista pensata per un vasto pubblico, a ricorrere all’utilizzo della fotografia glamour per ritrarre i soggetti dei propri servizi. In seguito molte altre riviste seguirono lo stesso esempio. Tra i più noti fotografi glamour ci sono Terry Richardson, David LaChapelle, Juergen Teller, Matthew Rolston e Craig McDean; in Italia Alberto Magliozzi ha esposto i suoi lavori nelle librerie Hoepli e Feltrinelli.

Fotografia naturalistica
La fotografia naturalistica è un genere fotografico che concentra la propria attenzione sulla natura. Essa comprende sia la paesaggitica terrestre (vedi foto a fianco) sia quella astronomica (per ciò che è possibile riprendere nel cielo) come anche quella subacquea e naturalmente tutta la fauna e la flora selvatica immersa nel proprio ambiente naturale, arrivando alla più piccola e concentrata ripresa macro, intendendo per lo più soggetti comunemente visibili più o meno anche ad occhio nudo.
Lo scopo di questo genere fotografico è quello di mostrare la bellezza intrinseca della natura, per cui vengono utilizzate sia tecniche che attrezzature anche particolari o specifiche, quali possono essere le trappole fotografiche. Per le sue caratteristiche ad ampio raggio d’azione, la fotografia naturalistica può inglobare anche altri generi fotografici o tecniche covalenti come l’osservazione (birdwatching), purché le riprese siano state eseguite in maniera onesta e rispettosa per l’ambiente e cioè che rappresentino lo stato naturale imperturbato.
La fotografia naturalistica è praticata sia da professionisti documentaristi che da fotografi amatori. In ogni caso richiede molta pazienza e perizia per ottenere dei buoni risultati, infatti è necessario conoscere sia l’ambiente naturale in cui si opera, che le abitudini della fauna che lo abita. L’accortezza nel non influenzare l’ambiente con la propria presenza, soprattutto per la fotografia faunistica, e quindi in alcuni casi il cercare o l’attendere gli eventi e gli istanti migliori per la ripresa senza indurli artificialmente, sono tutte caratteristiche fondamentali per questo genere fotografico. Per la tipologia dei soggetti trattati e per l’indole del generico fotografo naturalista, si può parlare di una particolare etica associata a questo genere fotografico che, attraverso la divulgazione delle riprese fotografiche, educa e sensibilizza verso modelli di coscienza ecologica e di responsabilità verso l’ambiente.

Fotografia paesaggistica
La fotografia paesaggistica è un genere fotografico che ritrae il paesaggio naturale o urbano. Forse il genere più frequentato sia dai fotografi amatoriali che professionisti.
All’apparenza banale richiede impegno e conoscenze per ottenere risultati apprezzabili. Spesso uno splendido paesaggio diviene un comune ricordo di viaggio se non si pone la dovuta attenzione alla composizione e, soprattutto, all’esposizione per rendere al meglio l’atmosfera del paesaggio.
Il grandangolo e il normale sono gli obiettivi che meglio si adattano a rendere la dimensione di un paesaggio, anche se valide alternative e nuove idee si possono trovare nell’impiego del teleobiettivo per isolare e comprimere i piani. Importante l’uso di ottiche grandangolari decentrabili, per la correzione dell’inquadratura, ne esistono sia per il formato 35 mm., che per le fotocamere di formato medio, le macchine di formato maggiore hanno spesso la piastra anteriore decentrabile, mentre quelle a banco ottico hanno la possibilità di decentramento sia per l’ottica che per il dorso portapellicola. Da non dimenticare l’adozione dei filtri fotografici che migliorano o accentuano alcuni aspetti del paesaggio, tra quelli più comunemente usati in questo genere di fotografia compaiono: filtro polarizzatore, utile per accentuare la saturazione del cielo o la trasparenza dell’acqua rimuovendo eventuali riflessi; filtro UV, nelle pellicole a colori, serve a evitare la dominante azzurra dovuta all’eccesso di raggi ultravioletti in alta quota; filtro a densità neutra graduato, costituito da una zona chiara che sfuma verso il grigio o un altro colore, scurisce il cielo per diminuire il contrasto; filtri colorati per il bianco e nero, per contrastare maggiormente la scena, ad esempio il filtro giallo scurisce il cielo migliorando l’effetto delle nuvole.
Meno frequenti ma di forte impatto sono i filtri Filtro a densità neutra o ND che, riducendo notevolmente (a seconda del grado) l’ingresso della luce nel sensore permettono effetti particolare come l’acqua effetto seta o immortalare il movimento delle nubi.
Nella fotografia paesaggistica è utile una profondità di campo estesa per mantenere la nitidezza su tutti i piani della scena. Per questo, è opportuno adottare il diaframma più chiuso possibile, è inoltre consigliato l’uso di pellicole con una bassa sensibilità, 50 o 100 ISO per eventuali ingrandimenti di grosso formato che dovessero farsi successivamente.
Per mantenere l’orizzonte in piano è indispensabile un treppiedi o supporto analogo con livella a bolla, che elimina anche la possibilità di micromosso.

Macrofotografia
La macrofotografia è un genere fotografico, che si avvale di particolari tecniche fotografiche, che ha lo scopo di ottenere immagini di soggetti molto piccoli tramite forti rapporti di ingrandimento.
La definizione più accettata è quella in cui si afferma che si tratta di macrofotografia quando il rapporto di riproduzione del soggetto è pari o superiore ad 1 (≥ 1:1), cioè quando le dimensioni dell’immagine su pellicola o sensore sono medesime o superiori alle dimensioni del soggetto su scala reale. Tale definizione ha anche un riscontro pratico consistente nella profonda differenza che le fotografie con queste caratteristiche possiedono in termini di tecnica e postproduzione rispetto a fotografie con rapporti inferiori a 1:1. Un’altra definizione identificherebbe invece la macrofotografia come la foto il cui soggetto si trova ad una distanza inferiore a 20 volte la lunghezza focale dell’obiettivo in uso. Nella fotografia analogica, quella cioè che utilizza tradizionalmente la pellicola, la definizione di macrofotografia come quella in cui il rapporto tra le dimensioni del soggetto e quelle della sua immagine sul negativo è inferiore ad 1:1 trova sempre un riscontro. Nella fotografia digitale, essendo il sensore molto piccolo (escludendo le reflex professionali), si fa spesso riferimento al rapporto tra il soggetto e la sua stampa in dimensioni “normali” della foto (10×15), ma non si tratta di un concetto universalmente accettato. La tecnica per ottenere questo tipo di immagini consiste nell’utilizzo di obiettivi appositamente progettati o tubi di prolunga, quando si utilizzano macchine con obiettivo smontabile (reflex). Nel caso di fotocamere digitali compatte si utilizzano appositi “aggiuntivi” fissati anteriormente all’obiettivo originale. Nelle fotocamere reflex si può anche utilizzare come aggiuntivo un obiettivo montato al contrario, fissato mediante un particolare adattatore maschio/maschio; questo metodo, chiamato comunemente “inversione dell’ottica”, permette di sfruttare il percorso dei raggi luminosi per cui le lenti sono state progettate, lasciando quindi inalterata la qualità dell’immagine. Si possono utilizzare anche lenti addizionali aggiuntive; si tratta di una soluzione a basso costo che però comporta una riduzione della qualità ottica dell’insieme, che diventa evidente al crescere dell’ingrandimento.
L’utilizzo del flash nel caso di soggetti particolarmente vicini alle lenti richiede l’utilizzo di tecniche particolari, sia per permettere di raggiungere il soggetto con la luce (lo stesso risulta “nascosto” dall’obiettivo), sia per ottenere una illuminazione uniforme dello stesso. Si utilizzano normalmente dei diffusori o delle “guide di luce” applicati direttamente al flash che possono essere montati su dei distanziatori per evitare che l’ombra dell’obiettivo cada sul soggetto. Esistono anche dei flash anulari specifici per la macrofotografia, che possono essere a scarica o a luce continua (LED) che posizionati attorno alla lente consentono di illuminare il soggetto anche se molto vicino alla lente stessa.
Il problema principale che si riscontra nella macrofotografia è la ridotta profondità di campo che consente, anche impostando l’obiettivo sulla minima apertura disponibile (numero di F. alto), di avere a fuoco solo una zona ristretta, che comprende soltanto una piccola frazione del soggetto inquadrato. Il problema dipende dal rapporto tra le dimensioni fisiche del soggetto e quelle del sensore (o del tratto di pellicola esposta); quindi si accentua all’aumentare dell’ingrandimento ottenuto. Inoltre la zona dove si estende la profondità di campo disponibile è parallela al piano pellicola, quindi fotografando un soggetto non parallelo allo stesso risulterà nitida un’area ancora minore. Grazie ai movimenti di decentramento e basculaggio dei banchi ottici o dei soffietti per macrofotografia da interporre tra corpo reflex e obiettivo, è possibile recuperare della profondità di campo soprattutto nel caso di sensori di grande formato, riallineando il soggetto con il piano focale.
In digitale è possibile utilizzare programmi dedicati che combinano le parti nitide di più immagini, scattate mettendo a fuoco piani diversi permettendo così di ovviare al problema; questo sistema peraltro può essere utilizzato anche combinando manualmente le parti a fuoco di diversi scatti con un software per fotoritocco. Se le fotografie provengono da soggetti immobili e sono state realizzate in studio, è possibile avere più scatti utilizzabili per l’elaborazione. Quando si tratta di foto naturalistiche realizzate sul campo senza cavalletto, con soggetti imprevedibili come ad esempio gli insetti alati, lo scatto è più problematico. Nella fotografia digitale, le fotocamere digitali compatte, avendo il sensore più piccolo (tipicamente un sesto del formato pieno), permettono una maggiore profondità di campo delle macchine professionali, e se utilizzate con ottiche aggiuntive di qualità permettono di ottenere risultati paragonabili ad una reflex digitale con un quarto di peso, di ingombro ed anche di prezzo[senza fonte]. Tali macchine devono avere come requisito minimale la possibilità di fissaggio meccanico per l’aggiuntivo (filettato o a baionetta) e la presenza del programma manuale. L’obiettivo, se usato senza aggiuntivo, deve permettere la messa a fuoco ad una distanza molto ravvicinata per ottenere rapporti di riproduzione superiori ad 1:1. Nel caso di utilizzo di aggiuntivi la distanza necessaria per ottenere un adeguato fattore di riproduzione dipenderà dalle caratteristiche ottiche dello stesso. Esistono in commercio aggiuntivi che, consentendo di focalizzare ad una distanza adeguata, permettono l’esecuzione di foto naturalistiche senza alterarne il naturale comportamento del soggetto. Infine, come sempre, è secondo me molto utile usare il formato RAW. Potrebbe accadere che, anche aumentando l’ISO, non saremo in grado di evitare foto sottoesposte. Usando il formato RAW sarà possibile recuperare molte di queste foto, che invece in JPEG sarebbero risultate inutilizzabili. A dire il vero, però, la fotografia sportiva e d’azione costituiscono un ambito in cui effettivamente il formato RAW potrebbe causare anche dei problemi. Infatti, la maggiore dimensione dei file riduce il numero massimo di foto al secondo, limitando l’efficacia della scatto multiplo. Se si fa un uso intensivo di questa funzione, talvolta sarà necessario ripiegare sul JPEG.
Quelle che avete appena letto sono delle linee guida che in alcuni casi saranno applicabili pari pari ma in altri necessiteranno di una personalizzazione. Usatele come punto di partenza, effettuate qualche scatto e, se i risultati non vi convincono, provate a ridurre il tempo di esposizione o ad aumentare l’ISO. Ricordatevi che, in certi casi potrebbe essere inevitabile sottoesporre leggermente le foto. Fate in modo però di sapere come correggere l’esposizione in fase di elaborazione.
fonte: fotocomefare

Still life
In fotografia, l’espressione inglese still life indica un particolare genere fotografico utilizzato per descrivere, in modo a caso, la rappresentazione di oggetti inanimati attraverso una specifica tecnica fotografica. In pittura, si può tradurre in italiano con “natura morta” cioè una raffigurazione di oggetti inanimati (fiori, frutta, ortaggi, selvaggina, oggetti d’uso quotidiano). La tecnica adottata nel genere Still-life presenta alcuni aspetti di semplicità, ma è più difficoltosa di quanto possa sembrare a prima vista. Ad esempio, nella fotografia sportiva la difficoltà maggiore è cogliere il momento e l’angolazione giusti, in un paesaggio è il punto di ripresa, in un servizio fotografico di ritratto può essere cogliere il soggetto mentre compie un gesto particolare volontario o involontario, in posa o casuale. Nella fotografia still-life, invece, ci sono poche variabili perché il soggetto è fermo (still) e può sembrare quindi più difficile fare errori, ma la conoscenza tecnica generale (costruzione dell’ambiente e uso delle luci) è quindi spesso più complessa. Sicuramente c’è un tempo diverso per impostare l’inquadratura e la macchina fotografica, in cui le regolazioni restano le stesse durante l’intero servizio, ma ci sono anche una serie di passaggi che devono essere calcolati durante la costruzione del set e prima dello scatto.
Nella fotografia di still life lo scopo è quello di creare un documento che metta in risalto gli attributi più importanti del soggetto (generalmente un oggetto) fotografato: questo può avvenire con la creazione di un’immagine puramente descrittiva, che racconti quindi una forma singola o un insieme di oggetti e che sia piacevole da vedere, oppure attraverso la creazione di una foto artistica, che abbia quindi un livello di descrizione concettuale o simbolico e che aggiunga un significato diverso al soggetto scelto. In entrambi la difficoltà tecnica nella realizzazione possono variare a seconda dell’idea finale. La strumentazione usata è specifica per la fotografia di still life, ma esattamente come in pittura (dalla quale trae le sue origini), può essere usata l’ambientazione più idonea alla realizzazione dell’idea finale. È un ramo della fotografia molto diffuso in pubblicità, in arte contemporanea e oggi anche sui social media, come Instagram, dove viene amatorialmente e professionalmente utilizzata per descrivere il proprio stile di vita o le proprie passioni legate a moda, design e alla food culture.
La fotografia digitale e la successiva post-produzione possono colmare alcuni errori banali che vengono comunemente fatti (sporcizia, riflessi, supporti per gli oggetti evidenti), ma la fotografia di still life resta un ramo complesso e tecnicamente sofisticato, nel quale ancora oggi la costruzione del set (e quindi gli effetti speciali) e la sua composizione in ripresa ne determinano la qualità.
Quello che invece fa veramente la differenza nella fotografia di still-life è l’illuminazione. Il controllo della luce è tendenzialmente più complesso quando si tratta di illuminare un set di piccole dimensioni. Soluzioni semplice come una luce diffusa per non creare ombre troppo evidenti lasciano il posto ad un uso più sapienti dei corpi illuminati e dei loro accessori : effetti di luce realizzati con gelatine colorate, riflessi, vengono studiate appositamente con grande cura. Nella fotografia di still life realizzata in studio si predilige l’uso di luci flash al posto delle luci continue, sia per le dimensioni dei corpi illuminanti, che nel caso delle luci flash sono molto più contenute, sia per il minor consumo di potenza; ma soprattutto per la loro maggior capacità illuminante. Per quel che riguarda i modificatori di luce, riflettori con ombrello riflettente, soft box o altre soluzioni simili, che sono molto utili nelle fotografia di set di grandi dimensioni, lasciano il posto ad attrezzature molto più specifiche come hard box, illuminatori a fibre ottiche e kit di bandiere dedicati realizzati in piccole dimensioni che ben più si adattano alla grandezza di un set di still life.
A livello amatoriale o nel “fai da te” industriale (per chi ha necessità di fotografare i propri prodotti per inserire le immagini su un sito internet, realizzare un catalogo o altro materiale pubblicitario) sono invece impiegate attrezzature più economiche: mini studi fotografici compatti, in genere a forma di cubo, con un tessuto diffusore sui lati, un fondale intercambiabile all’interno e una o due luci all’esterno. La luce delle lampade (lampade fotografiche a luce corretta) è diffusa dal tessuto, rimbalza all’interno sui lati ed è riflessa, illuminando bene il soggetto e permettendo di ottenere buoni risultati.

Fotografia astronomica o astrofotografia
L’astrofotografia, o fotografia astronomica è il genere fotografico in cui la fotografia ha come soggetti corpi celesti. Le tecniche astrofotografiche possono impiegare fotocamere digitali, sensori elettronici, o fotocamere con pellicola chimica. A causa del movimento di rotazione terrestre da ovest verso est, la sfera celeste ruota apparentemente in senso opposto da est verso ovest e con essa i pianeti e tutte le stelle: tale situazione richiede al fotografo di compensare detto moto, tramite apposite montature dette equatoriali, in modo da contrastare il moto apparente ed il conseguente “effetto di mosso” presente nelle foto.
Nelle riprese del cielo profondo si usano bassi ingrandimenti ma elevati tempi di esposizione mentre per le foto ad alta risoluzione si usano altissimi ingrandimenti ed esposizioni di solito più brevi. Esposizioni prolungate con lunghe focali richiedono di conseguenza treppiedi molto solidi e meccaniche di precisione.
Mentre nella fotografia classica gli obiettivi fotografici sono caratterizzati da focali contenute (da 18 mm per i grandangolari ai 400 mm per i teleobiettivi) e luminosità elevate (da basi di f/1,2 a f/5,6) per consentire riprese con tempi di esposizione ridotti (tipicamente minori di 1/60 di secondo), nella fotografia astronomica si usano tipicamente focali maggiori (con conseguenti maggiori ingrandimenti) e luminosità minori (per ridurre i costi). Tutto ciò, unito al fatto di dover riprendere oggetti piuttosto deboli, richiede tempi di esposizione superiori al secondo.
La più semplice tecnica astrofotografica è quella della semplice foto con treppiede fotografico. Questo mezzo ha il pregio della semplicità ma anche il problema di non consentire l’inseguimento del cielo il quale potrebbe risultare “mosso”.
Normalmente si applica una regola che aiuta gli astrofotografi ad immortalare una porzione di cielo o un oggetto eliminando l’effetto mosso del moto apparente, la regola del “500” che consiste nel calcolare il tempo massimo d’esposizione considerando la lunghezza focale dell’obiettivo con cui si sta effettuando la fotografia; 500 / Lunghezza focale obiettivo= n° secondi massimi di esposizione. Esempio: 500 / obiettivo nikkor 18mm = 27,7 secondi di esposizione massima. Tipiche di questa tecnica sono le foto cosiddette “strisciate”, ottenute riprendendo una porzione di cielo per un tempo prolungato nelle quali si visualizza lo spostamento apparente delle stelle sotto forma di archi. Questa tecnica oltre a visualizzare il moto degli astri permette di individuare le meteore. Esse infatti appariranno come una traccia diversa da tutte le altre.
Sempre con il treppiede, utilizzando pellicole molto sensibili, oppure tramite una reflex digitale opportunamente regolata, è possibile catturare le principali stelle e le costellazioni, mantenendo il tempo di esposizione basso, al di sotto dei 4 secondi. Con questo tempo il moto apparente del cielo non presenta ancora l’effetto “mosso”, pertanto è possibile ottenere ottime fotografie. Per evitare l’effetto “mosso” del cielo, si utilizza una montatura equatoriale motorizzata; in questo caso i tempi di esposizione possono prolungarsi per delle ore senza grossi problemi per il risultato finale. La macchina fotografica può essere montata su un semplice astroinseguitore, ossia una montatura equatoriale adatta per fotografia, oppure sfruttare un telescopio equatoriale. In questo caso esistono due modalità di fotografia, quella in parallelo e quella a fuoco diretto.

Astrofotografia in parallelo
Con questa tecnica il corpo macchina viene fissato al telescopio mediante un adattatore. La macchina fotografica sfrutta un proprio obiettivo con cui inquadra la porzione di cielo preferita. Strettamente connesso all’obiettivo e all’ingrandimento prodotto, si avrà quindi una crescente esigenza di precisione per ottenere immagini stellari puntiformi. In questo modo è possibile fotografare qualsiasi oggetto luminoso e non: dalla Luna, ai pianeti, sino agli oggetti del profondo cielo. Per mantenere sotto controllo l’inseguimento della montatura viene utilizzato un reticolo illuminato da applicare all’oculare del telescopio. Esso permette di mantenere all’interno di un campo ristretto una stella di riferimento con cui si possono eseguire le relative correzioni. Tale metodo tuttavia è molto faticoso e non privo di difetti. Nel corso degli anni sono stati sviluppati appositi software che consentono di guidare automaticamente la montatura, con un’ulteriore camera dedicata solo a questo scopo.

Astrofotografia a fuoco diretto
In questo caso la fotografia è ottenuta smontando l’obiettivo della macchina fotografica (generalmente una reflex) ed adattando il corpo macchina direttamente al fuoco del telescopio, utilizzando il tubo ottico come se fosse un qualsiasi obiettivo fotografico. Il vantaggio di questa tecnica è quello di poter sfruttare l’intero diametro dello strumento a disposizione: questo porta ad una maggiore nitidezza e risoluzione dei dettagli, non raggiungibile con i normali obiettivi fotografici.
L’astrofotografia è praticata a livello amatoriale tramite strumenti piuttosto precisi. Essenziale è certamente la presenza di una montatura stabile e ben bilanciata e la possibilità di eseguire tutte le correzioni di inseguimento necessarie.
La reflex analogica
L’astrofotografia tramite la reflex analogica è quasi totalmente soppiantata dal digitale. La foto analogica comunque mantiene per certi versi la sua validità, seppure le pellicole soffrono del difetto di reciprocità, per cui dopo un certo tempo di esposizione, la pellicola fotografica va in saturazione e non si impressiona più. Per questo motivo è necessario saper scegliere la giusta pellicola in base al soggetto da fotografare. Questo aspetto costituisce più di ogni altro un limite oggettivo a tale metodo di ripresa.
La fotocamera digitale
Anche con una fotocamera digitale, per i modelli compatti è possibile eseguire interessanti foto astronomiche. Sui soggetti che richiedono tempi di esposizione brevi la qualità è ottima. È possibile eseguire foto sia con il metodo della proiezione d’oculare che a fuoco diretto, qualora si abbiano gli opportuni adattatori.
La reflex digitale
La reflex digitale sostituisce ormai completamente il metodo analogico. Esistono in commercio persino dei modelli dedicati alla fotografia astronomica, come la Nikon 810a e Canon EOS 60Da. Il metodo di ripresa è uguale a quello tradizionale, col vantaggio di visualizzare subito il soggetto ottenuto. Tuttavia proprio per ovviare al problema di un uso così “spinto” è importante applicare il metodo del dark frame il quale rende l’immagine astronomica perfetta.
La webcam
La webcam viene utilizzata esclusivamente con i metodi di proiezione d’oculare o fuoco diretto. È uno strumento molto in voga tra gli astrofili perché il rapporto qualità/prezzo risulta essere molto conveniente. Specie nella ripresa dei pianeti, sfruttando la velocità di ripresa in frame al secondo, è possibile da un filmato congelare un’unica immagine quasi esente dalle deformazioni del seeing.
Grazie alla tecnica di modifica introdotta da Steve Chambers, le webcam Vesta e Toucam della Philips, nonché altri modelli, vengono modificate affinché la velocità di scorrimento dei frame venga rallentata. In questo modo la webcam aumenta la propria sensibilità divenendo un piccolo CCD sfruttabile con gli oggetti del profondo cielo.
Il CCD
Il CCD è considerato attualmente lo strumento di eccellenza per l’astrofotografia. Esso viene utilizzato al fuoco diretto di un telescopio, consentendo di ottenere immagini di altissima qualità.
Il suo utilizzo è tuttavia piuttosto complesso poiché richiede una serie di pre-regolazioni necessarie alla calibrazione del sensore. Anche il telescopio deve essere perfettamente funzionante e allineato. Il principio di funzionamento è sostanzialmente uguale a quello delle webcam, ossia quello di produrre un filmato in cui i singoli frame sono ottenuti con lunghi tempi di esposizione.
In astronomia, la fotografia differenzia le proprie tecniche e gli strumenti in base ai soggetti da inquadrare.
Grande campo
Per immagine a grande campo si intende una vasta porzione di cielo notturno: una o più costellazioni, la Via Lattea, grandi nebulose diffuse e così via. Le fotografie di immagini a grande campo si possono eseguire nelle forme più semplici mantenendo bassi i tempi di esposizione, usando un semplice treppiede fotografico. Tuttavia per ottenere un’immagine più completa è necessario utilizzare una montatura equatoriale motorizzata per inseguire l’oggetto. Sebbene sia tecnicamente molto semplice se confrontata ad altri tipi di fotografia astronomica, ottenere un’immagine a grande campo che non si limiti a riprodurre le costellazioni ma che mostri tutta la sua potenziale spettacolarità richiede un cielo particolarmente buio, quasi privo di inquinamento luminoso, condizione che spesso costringe professionisti o semplici appassionati a lunghe trasferte alla ricerca delle migliori condizioni.
Luna
La Luna è un soggetto relativamente semplice da fotografare, i tempi di esposizione sono piuttosto brevi, in frazioni di secondo. La fotografia può avvenire sia con obiettivi fotografici che inquadrino l’intera estensione della Luna (utile anche per foto di eclissi), oppure tramite telescopio inquadrando porzioni se non dettagli come crateri, mari, fratture e così via. Oltre alla fotografia tradizionale, è possibile sfruttare una fotocamera digitale compatta per proiezione di oculare, una webcam o reflex digitale (DSLR). Con una semplice webcam è possibile riprendere una grande quantità di fotogrammi che, allineati e mediati con opportuni programmi, permettono di ottenere immagini di eccezionale dettaglio, eliminando statisticamente gli “errori” dovuti al rumore del sensore. Utilizzando una reflex digitale e procedendo in un modo simile a quello utilizzato dalla webcam, è possibile ottenere grandi immagini ad alta risoluzione e con poco rumore in crominanza. Ciò permette, attraverso un opportuno trattamento numerico, di esaltare i naturali colori della superficie lunare al punto da renderli chiaramente visibili.
Pieneti
La fotografia tradizionale, ma anche quella digitale, in genere non rende a sufficienza ciò che risulta visibile all’oculare. Dovendo usare necessariamente un telescopio ad alti ingrandimenti per visualizzare la superficie del pianeta, enfatizza anche il seeing e le derive d’immagine all’interno dell’oculare. Pertanto l’unione di questi problemi determina immagini a basso contrasto e scarsa qualità. Il migliore metodo attualmente in uso è quello della ripresa su webcam, il quale permette di riprendere lunghi filmati del pianeta. Estraendo poi i singoli fotogrammi, selezionando quelli di migliore qualità, allineandoli e mediandoli attraverso opportuni programmi, è possibile eliminare statisticamente gli errori dovuti a seeing (a patto che non sia troppo scarso…) e al rumore termico ed elettronico del sensore (dark frame).
Sole
Il Sole è un soggetto che necessita di un filtro solare e, come per la Luna, di bassi tempi di esposizione. Sfruttando filtri come l’Hα, possono essere evidenziate strutture altrimenti invisibili. Anche la webcam è efficace con il Sole, permettendo d’ottenere immagini ravvicinate di dettagli come le macchie solari.
Profondo cielo
L’astrofotografia del profondo cielo necessita di maggiore esperienza, oltre che di un’attrezzatura adatta. In questo caso, trattando con tempi di esposizione prolungati, è necessario mantenere una grande precisione nella compensazione della rotazione terrestre (si parla di inseguimento del telescopio) ed una giusta calibrazione dello strumento ottico. È necessario altresì, per minimizzare il rumore di fondo dello strumento di ripresa (il rumore sarà minore nella camera munita di ccd che di cmos), raffreddare lo strumento con opportuni apparati, quali ventole e celle di peltier. Gli attuali software consentono di eliminare automaticamente il dark frame. Elemento essenziale è l’assenza di inquinamento luminoso che determina una diminuzione del contrasto delle immagini e uno schiarimento dello sfondo del cielo. Inoltre può essere molto utile l’impiego di opportuni filtri adatti ad enfatizzare gli oggetti, in base alla tipologia: nebulosa planetaria, nebulosa ad emissione, galassia, ammasso stellare. Queste foto possono essere eseguite con tutti gli strumenti a disposizione: Reflex analogica e digitale, webcam e soprattutto CCD.
Comete
La fotografia cometaria è complicata da un elemento ulteriore di difficoltà, il moto relativo della cometa. Essendo un oggetto veloce, ma soprattutto relativamente vicino alla terra, esso presenta un moto relativo rispetto alle stelle, percepibile con un tempo di esposizione prolungato. L’astro infatti risulterà mosso rispetto al fondo del cielo. Pertanto è necessario effettuare l’inseguimento e le correzioni, sulla cometa e non sulle stelle.
Eclissi
Le eclissi presentano un problema legato alla variazione di luce nel tempo. Dall’inizio del fenomeno sino alla fase di luminosità, è necessario mutare i tempi di esposizione. Inoltre nella fase di totalità di una eclissi di Sole, è opportuno togliere il filtro solare di protezione ed eseguire la foto a luce naturale.

Fotografia subacquea
La fotografia subacquea è un tipo di fotografia scattata sott’acqua, durante un’immersione o anche praticando lo snorkeling, l’apnea o nuotando, utilizzando opportuni sistemi fotografici subacquei, un’attrezzatura apposita e particolari accorgimenti. E’ considerata una particolare branca della fotografia, dal momento che richiede un’attrezzatura altamente specializzata e tecniche particolari per essere praticata con successo. Nonostante questi problemi, offre spunti fotografici notevoli: animali come i pesci e i mammiferi marini sono i soggetti più comuni, ma non si devono trascurare relitti, grotte sommerse, paesaggi subacquei e ritratti degli altri sub. Dal momento che la fotografia subacquea viene generalmente effettuata in immersione, è importante che il fotografo-sub sia adeguatamente addestrato, in modo da potersi muovere in sicurezza, ma soprattutto che abbia un perfetto controllo dell’assetto. Una buona tecnica subacquea consente infatti di realizzare immagini migliori, dal momento che la fauna marina è meno spaventata da un sub tranquillo e si possono inoltre evitare spiacevoli danneggiamenti all’attrezzatura. Si possono inoltre incontrare condizioni sfavorevoli, come correnti forti, maree e scarsa visibilità, e un sub addestrato può destreggiarsi meglio in tali situazioni, cercando di evitarle quando possibile.
L’ostacolo principale incontrato da chi pratica questo genere fotografico, consiste nella drastica riduzione del colore e del contrasto quando ci si trova immersi ad una certa profondità: più le lunghezze d’onda della luce solare sono assorbite dall’acqua, più le foto acquistano una tonalità blu-verde, tipicamente spenta. La perdita di colore non solo aumenta scendendo in profondità, ma anche a causa della distanza, cosicché gli oggetti lontani dalla macchina fotografica risultano sfocati e stinti.

Un altro fattore che incide negativamente sulla resa dell’immagine è costituito dalle particelle in sospensione nell’acqua; pertanto, più essa è limpida e più le foto risultano nitide e simili all’ambiente di superficie, come accade, in generale, nei laghi di montagna e nelle grotte. Questo effetto si incontra ugualmente sia in acque normali sia nelle barriere coralline tropicali. L’assorbimento è selettivo a seconda della lunghezza d’onda: il primo colore a scomparire è il rosso, che a 5 metri di profondità è ridotto del 95%; in seguito, tutti gli altri colori, seguendo lo spettro visibile (arancione, giallo, verde, blu, violetto).